Fossanese di nascita ma torinese di adozione, Massimo Tallone, il nostro ospite della serata 1965, ha iniziato a scrivere in età giovanissima, a 14 anni, un racconto comico, “La mano del morto” che venne però immediatamente stroncato da suo padre.
Nonostante questa difficoltosa partenza, prima dei venticinque anni aveva già pubblicato parecchi racconti, spaziando tra vari generi : giallo, fantascienza, saggistica, romanzo storico per poi approdare stabilmente al noir.
A differenza del giallo, ci ha raccontato, che ha alla base un enigma, un delitto o qualche cosa di simile, ha una trama piuttosto lineare e racconta della lotta tra il male, rappresentato dall’assassino, e il bene, rappresentato dall’investigatore che al termine del libro scopre il primo, il genere noir vuole evidenziare le ferite aperte del protagonista, esplorare le zone d’ombra dell’essere e della società.
Il giallo, l’enigma serve all’autore di noir come un motorino di avviamento per fare partire un viaggio letterario più sfumato e sfaccettato, per rendere i suoi personaggi più indagati che indagatori, quasi soggetti di analisi al fine di mettere in luce anche gli aspetti meno evidenti della loro personalità ed evidenziare la loro evoluzione nel dipanarsi della storia, i loro atteggiamenti di fronte al pericolo, all’angoscia, al dolore, alla felicità.
Nel suo intervento, davvero molto coinvolgente, però, lo scrittore ha distrutto un mio personalissimo mito : pensando agli scrittori, soprattutto agli autori di romanzi complessi, che poi sono quelli che più mi affascinano, ho sempre avuto una Idea, con la “i” maiuscola (i), ho cioè sempre pensato che la cosa essenziale per uno scrittore fosse l’ispirazione; in quanti romanzi si è vissuta la crisi esistenziale dello scrittore di fronte alla pagina bianca nel rullo della Olivetti 22!
Non è in effetti così: è pur vero che alla base ci deve essere una idea di partenza ma chiunque può avere una storia da raccontare e chiunque può trasformarla in un libro, perché tutti siamo in grado di mettere insieme delle parole.
Scrivere è essenzialmente tecnica e quindi occorrono un repertorio lessicale sicuramente importante ed una agilità sintattica che ne permetta il miglior utilizzo e allora con la tecnica, l’applicazione, l’attenzione e la concentrazione la nostra storia, qualunque storia, può essere trasformata in un romanzo.
A questo proposito ci ha raccontato un episodio emblematico : nel suo ultimo romanzo, “La ragazza del Bristol” aveva l’esigenza di descrivere il passaggio della protagonista da una stanza all’altra, ambedue buie e voleva mettere in evidenza, oltre al buio, anche l’assoluto silenzio dell’azione.
“Alla mia lieve spinta la porta si è spostata in avanti, silenziosa come ….”
Per trovare una similitudine che lo soddisfacesse ha fatto ricorso a quella concentrazione che sta alla base della sua attività e dopo parecchio tempo ha finalmente trovato quello che cercava :
“Alla mia lieve spinta la porta si è spostata in avanti, come un gomito” ed in effetti il gomito, ammesso che non abbia problemi di artrosi, è assolutamente silenzioso nel suo movimento.
La concentrazione quindi ha permesso all’autore di trovare una metafora del tutto nuova e proprio per questo efficace.
Lo scrittore è stato presentato da Paolo Audino, giornalista e scrittore anch’esso, che lo ha portato a parlare anche della sua seconda attività, i corsi di scrittura creativa che tiene agli aspiranti scrittori, con l’obiettivo di fornire loro le competenze strutturali, la strumentazione sintattica e la determinazione indispensabili per poter scrivere un romanzo, ovverosia per poter vivere l’avventura di scrivere un libro.
Avventura che, ci ha confidato lo scrittore, è molto più accessibile di quanto si pensi nell’immaginario collettivo, sempre che si sia disposti ad applicarsi con impegno, costanza e determinazione.
Dopo le domande che i soci presenti hanno rivolto al gradito ospite, l’incontro si è chiuso con la consegna del nostro gagliardetto al relatore da parte del Presidente.
(i)…… lo ammetto, mi ripeto.