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Processo e mediazione : quale giustizia?

Processo e mediazione : quale giustizia?

“Quello che rende davvero grandi e liberi, è la cultura” (i)

“Cultura” intesa come conoscenza, come approfondimento, come discussione hanno fatto Gigi Perotti e l’avvocato Alberto Del Noce nella nostra serata 1994 parlandoci della mediazione nella relazione “Processo e mediazione: quale giustizia ?”

Quella che viene comunemente definita mediazione è un modo alternativo per affrontare e risolvere le controversie al di fuori del tribunale e della sua tradizionale atmosfera.

Con una serie di interessanti slides, i relatori ci hanno condotto lungo il cammino dell’istituto nato con il D.Lgs. 28/2010 che lo qualifica come l’“attività svolta da un terzo imparziale, finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia”.

Uno strumento quindi che consente di affrontare – e possibilmente risolvere – le controversie civili e commerciali relative a diritti disponibili in maniera efficace e veloce e, soprattutto, senza formalità e formalismi procedurali.

Sono però dovuti trascorrere oltre dieci anni prima che l’istituto ottenesse l’imprimatur della giustizia ordinaria: nel discorso di inaugurazione dell’anno giudiziario 2024, lo scorso 25 gennaio, la Prima Presidente della Corte di Cassazione, Margherita Cassano, ha citato la mediazione come una delle modifiche normative che hanno maggiormente inciso sull’effettività della risposta giudiziaria in ambito civile: “il valore della mediazione non risiede soltanto nella sua capacità deflattiva, quanto piuttosto nella sua idoneità a realizzare la coesione sociale, a porre al centro la persona, prima ancora che la “parte”, a restituire agli individui l’opportunità di comprendere le ragioni del conflitto e di acquisirne la consapevolezza, a promuovere l’ascolto empatico dell’atro, a gestire relazioni efficaci attraverso il confronto”.

Ben diversa quindi dal processo, che costituisce un sistema a struttura formale volto alla tutela dei diritti e al rispetto della legalità, non già della giustizia.

Molto efficaci sono stati, a questo punto, gli spunti dei relatori sulla differenza tra legalità e giustizia, la prima risolvendosi nel diritto di ognuno di vedersi attribuito quanto gli è dovuto secondo la legge, la seconda nell’aspirazione – per definizione, soggettiva e parziale – di vedersi attribuito ciò cui si ritiene di avere diritto. E con questa premessa, ben si comprende come, da un lato, la giustizia ordinaria sia organizzata in un sistema formale e rigoroso di regole volto alla tutela dei diritti e al rispetto della legalità, mentre, dall’altro lato, la mediazione sia costruita per offrire alle parti un’occasione – de-formalizzata – per l’affermazione e il riconoscimento di ciò che è (ritenuto) giusto.

Del resto, il ruolo del giudice, cioè la giurisdizione (letteralmente, “jus dicere”), è quello di affermare un diritto, non necessariamente di dare giustizia; in altre parole, affermare o negare un diritto ad un cittadino ponendo a fondamento della sua decisione non quanto accaduto, ma le prove proposte dalle parti, i fatti con contestati e i c.d. fatti notori (il grande tema della differenza tra verità assoluta e verità processuale).

Dovrà infatti dire che un soggetto ha ragione e l’altro ha torto richiamando una norma generale e astratta, senza tener conto di avere davanti vicende umane segnate da errori, incomprensioni, frustrazioni, vicende che le parti avrebbero voluto narrare integralmente al fine di farle comprendere.

Questa è la conseguenza di un sistema giudiziario che il grande giurista Piero Calamandrei definiva “inevitabilmente complicato nel quale la giustizia non potrebbe funzionare se non esistessero i professionisti legali che, in ausilio al giudice, devono raccogliere i materiali di lite, tradurre in linguaggio tecnico le frammentarie e slegate affermazioni della parte, tirate fuori da queste l’ossatura del caso giuridico e presentarlo al giudice in forma chiara e precisa e nei modi processualmente corretti.”

Questo sistema inevitabilmente complicato ha come conseguenza l’allungamento della durata dei processi, l’aumento dei costi a carico delle parti, il difetto di comprensibilità delle sentenze, la mancanza di equità dei procedimenti, aspetti che concorrono alla crescente sfiducia del cittadino nella giustizia processuale che, sono dati di qualche anno fa, raggiunge il 61%.

Di ciò si è reso conto il legislatore che con la Legge Delega 206/2021 e il Decreto Legislativo 149/2022, la c.d Riforma Cartabia, oltre a definire per la prima volta le ADR (Alternative Dispute Resolution) come sistemi complementari al processo, ha aumentato le materie per le quali è obbligatorio instaurare primariamente un procedimento di mediazione, favorendola nell’ambito del processo, dandole un preciso rigore temporale, aumentando le facilitazioni fiscali per le parti che decidano di iniziare un procedimento di mediazione e prevedendo ulteriori conseguenze verso chi voglia sottrarsi al procedimento.

Gli stessi Giudici hanno ammesso che la loro decisione costituisce la risposta residuale che lo Stato deve offrire ai cittadini che confliggono: “la mediazione mira per così dire a rendere il processo l’extrema ratio: cioè l’ultima possibilità dopo che le altre possibilità sono risultate precluse”. (ii)

La mediazione, quindi, non punta tanto a decidere chi ha ragione e chi ha torto, piuttosto ad indagare sui reali interessi delle parti.

Rappresenta quindi l’ultimo stadio possibile per poter decidere come risolvere una lite trovando un adeguato assetto negoziale estraneo alla soluzione in giudizio.

Per la risoluzione delle situazioni conflittuali che si generano tra le parti, fondamentale è la figura del mediatore che, al di là delle tre condizioni che deve assolutamente rispettare, l’imparzialità, la neutralità e l’indipendenza, deve essere in grado di comprendere gli obiettivi che i soggetti in conflitto vogliono raggiungere.

Deve quindi capire quali siano stati gli elementi scatenanti il conflitto tra i soggetti e questo lo può fare attraverso il dialogo; la discussione con le parti aiuta infatti a capire su quali problemi focalizzarsi, quali siano le richieste ultime dei soggetti in quanto da ciò è probabile riesca a trovare la chiave per risolvere la situazione.

Deve cioè mettere al centro della situazione, al contrario di quanto succeda nel processo, la persona e non il conflitto.

Dopo un sentito applauso, numerose sono state le domande rivolte dai presenti all’avvocato Del Noce e all’amico Gigi al termine della interessantissima relazione.

Il dibattito è proseguito durante la cena, in particolare al tavolo della presidenza, al quale sono stati ospiti altri illustri mediatori, tra cui la nostra socia Laura Presti e il fratello del nostro socio Gigi, Carlo Perotti, che hanno reso ancora più proficuo lo scambio di idee ed esperienze sul tema.

i Un ragazzo normale – Lorenzo Marone

ii Corte di Cassazione, III Sezione Civile, Pres, est. Vivaldi, sentenza numero 24629 in data 7 ottobre 2015