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ELOGIO DELLA RICERCA SCIENTIFICA IN CAMPO MEDICO

ELOGIO DELLA RICERCA SCIENTIFICA IN CAMPO MEDICO

Nel suo intervento d’apertura il Presidente Radis ha sottolineato come, sin dall’inizio della sua avventura alla guida del Club, era chiara in lui l’idea della realizzazione di un evento che potesse in qualche modo caratterizzare il suo anno di presidenza e di come questo evento dovesse legarsi a quanto il Club avesse organizzato nel passato.

Di qui la scelta di un incontro che, rifacendosi a quanto a suo tempo organizzato del nostro Past President Carlo Ferruccio Tondato, “L’elogio alla Fantasia”, portasse all’attenzione di soci e ospiti una materia, un argomento di grande attualità e la scelta, dato il periodo appena trascorso, non poteva che cadere sulla medicina ed ecco quindi  l’“Elogio della ricerca scientifica in campo medico”.

Grazie all’impegno dello stesso Presidente Radis, di Carlo Ferruccio Tondato e di Gianni Caporello non solo si è raggiunto l’obiettivo di organizzare un evento di grande spessore con importantissimi relatori ma anche quello di poter utilizzare una struttura di assoluto prestigio come può esserlo l’Accademia delle Scienze di Torino e la sua sala dei Mappamondi.

E proprio la dottoressa Chiara Mancinelli, direttrice dell’Accademia, ha iniziato i lavori con il saluto dell’Accademia e la descrizione del Palazzo che la ospita, in origine teatro del Palazzo del Collegio dei Nobili, costruito per essere un collegio dei Gesuiti,  diventato sede dell’Accademia nel 1873.

La sala dei mappamondi in cui ci siamo riuniti è così chiamata per la presenza di due grandi mappamondi del cartografo veneziano Vincenzo Maria Coronelli i cui globi sono esposti anche  alla Bibliotheque Nationale de France e al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci” a Milano ed rimasta immutata dal 1873 con le librerie montate l’anno successivo per ospitare i volumi che già erano nella sala.

Notevoli anche gli affreschi contenuti nelle lunette del soffitto che simbolizzano le varie scienze dell’epoca : matematica, fisica, geografia, scienze naturali, meccanica e grandiosa la collezione di  volumi contenuta nella sala.

La dottoressa ci ha poi ricordato il motto dell’Accademia presente sulla lunetta dell’ingresso della sala : “Veritas et utilitas”  a significare che obiettivo dell’Accademia sono studi che possano servire al progresso della società; studi peraltro che non hanno come oggetto  solo le scienze ma anche, dal 1801, per volere di Napoleone, anche accademia umanistica che studia letteratura ed arte.

Dopo l’intervento della dottoressa Mancinelli, ha preso la parola il professor Mario Rasetti, Professore Emerito di Fisica Teorica al Politecnico di Torino, di cui ha fondato e diretto per anni la Scuola di Dottorato, già vincitore del premio Maiorana nel 2011, che attualmente di interessa di intelligenza artificiale.

Il professore ci ha intrattenuto sull’Accademia di cui è socio, confessandoci di sentirsi emozionato ogni volta che ha modo di entrare nella Sala dei mappamondi che, tra l’altro, contiene l’intera opera di Sant’Agostino.

In questa sala, ci ha detto, stiamo abbracciando 266 anni di storia : l’Accademia infatti nacque nel 1757 come Società Scientifica Privata Torinese per volontà del Conte Giuseppe Angelo Saluzzo di Monesiglio, chimico, di Giovanni Francesco Cigna, fisico e medico e di Giuseppe Luigi Lagrangia, matematico di valore assoluto, che, trasferitosi all’estero  – primo esempio di fuga di cervelli –  mutò il suo nome in Joseph Louis Lagrange.

Prof. Mario Rasetti

Nel 1873 il Re Vittorio Amedeo III di Savoia concesse alla società la patente di Accademia Reale,  passaggio importantissimo che accrebbe il suo prestigio a livello internazionale, facendo aumentare i contatti con organizzazioni similari, su tutte la Royal Accademy di Londra.

Impressionante è la lista dei Presidenti che si sono succeduti nel guidare l’Accademia : Joseph Louis Lagrange, Agostino Lascaris, Giovanni Plana, Norberto Bobbio, Elio Casetta così come curiosando tra i soci si scoprono i nomi di Alessandro Manzoni, Ugo Foscolo, Amedeo Avogadro, Tullio Regge. Questi nomi dimostrano quanto l’Accademia delle Scienze di Torino sia importante e che la nostra politica dovrebbe impegnarsi a far rivivere quello che è sempre stato il ruolo dell’Accademia, ovverosia quello di fare incontrare, mettere a confronto le menti dei grandi uomini della scienza che nei suoi salotti hanno nel passato risolto problemi e dato risposte a quesiti importantissimi per la storia dell’umanità.

Proprio parlando di Tullio Regge che ha definito il più grande fisico italiano, che concettualmente aveva previsto l’esistenza dei buchi neri nello spazio ben prima della loro scoperta, il professor Rasetti si è commosso ricordando i lunghi anni di collaborazione e di amicizia con lui.

Il professore ha concluso il suo intervento sottolineando come la scienza sia l’unica disciplina intellettuale che porti con sé tutti i grandi contributi dei grandi scienziati del passato, contributi che non vengono mai dimenticati ma che sono un tassello delle attuali conoscenze.

Dopo il professor Rasetti, il Presidente Radis ha passato la parola al professor Giovanni Di Perri, Direttore del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Ospedale Amedeo di Savoia e Direttore della Scuola di Specializzazione in Malattie Infettive dell’Università degli Studi di Torino con la sua relazione “Dall’esperienza della pandemia al disegno futuro della Medicina”

Prof. Giovanni Di Perri (sinistra) e Giovanni Radis (destra)

Il professore si è definito, di fronte al professor Rasetti “un badilante della medicina” (come dovrebbe definirsi allora il  vostro umile segretario che tenta di riportare senza troppi errori le parole ed i concetti espressi da personaggi così illustri?) che però è riuscito a tenere sempre desta l’attenzione dei partecipanti raccontando della sua esperienza nella pandemia.

Sicuramente, ha esordito, tutti sono stati colti di sorpresa, anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità e questo nonostante il fatto che il Covid19 non fosse una novità così sorprendente : era il terzo corona virus che si presentava negli ultimi diciotto anni quindi non una grande novità per chi si occupa di virologia. Ma nessuna delle precedenti pandemie aveva mai toccato seriamente la salute dell’essere umano anche se nel 2016 era stato pubblicato su importantissime riviste mediche uno studio cinese che si concludeva affermando che il dubbio non era “se” il prossimo corona virus avesse dato il via ad una epidemia umana ma “quando” ciò sarebbe successo.

Il coronavirus è sempre nato da certe specie di animali, come il pipistrello o lo zibetto ma l’aumentare esponenziale della popolazione mondiale ha enormemente aumentato la densità tra uomo e animale, soprattutto in certi paesi, per cui secondo il professore le condizioni per la nascita di nuovi coronavirus sono ancora tutte presenti e quindi sicuramente “altre cose vedremo”.

Ma, al di là della particolarità di questo corona virus rispetto a tutti gli altri, quali le cause dell’enorme difficoltà trovata nel combatterlo?

La principale è da ricercarsi nel fatto che la nostra sanità veniva da “venti anni di destrutturazione, una sanità che in venti anni non solo ha visto decrescere di qualche punto percentuale quello che riusciva ad avere dal PIL, ma una sanità che ha tolto e toglieva posti letto e posti di lavoro, cioè aumentavano i posti nell’area delle scrivanie nei posti amministrativi e si riducevano quelli di chi lavorava sull’assistenza.”

Questi problemi, che oggi riemergono nella loro drammaticità come un fiume carsico, sono stati mascherati dall’emergenza perché nell’emergenza ci sono state risorse, entusiasmi, reclutamento di volontari, tutte cose che non sono lo standard quotidiano oggi, proprio per quella capacità che noi siamo in grado di mettere nello straordinario e non nell’ordinario.

Dal punto di vista umano, ha sottolineato, “è stato però un periodo che ha dato molto a noi medici non solo professionalmente ma anche come gratitudine, come solidarietà, si sono fatte amicizie in tempi veloci proprio perché la paura accelera certi rapporti”.

Il primo mese è stato terribile, su ventotto medici del suo reparto otto si sono ammalti uno dopo l’altro ed ha confessato anche di avere avuto paura, anche perché ci si scontrava con la scarsa conoscenza del virus e l’arretratezza della sanità, ad esempio venivano utilizzate le tute, quelle bianche che abbiamo visto molte volte alla televisione, per l’ebola che si trasmette per contatto e non per via aerogena come il Covid19, ma solo quelle erano disponibili.

Dalla fine del mese di marzo in poi c’è stata una riconsiderazione del rischio, da quanto cioè si iniziò una serie di screening tra i pazienti delle RSA dai quali emersero vecchietti di ottanta anni che, positivi al Covid19, non avevano avuto altro che qualche dolore alle ossa e febbre e si capì che quello che si vedeva in ospedale era la punta dell’iceberg e che c’era un numero enorme di persone che si ammalava senza accorgersene o in forme che i medici erano già abituati a gestire.

Dopo l’estate vi furono diverse altre ondate dovute ai rientri dalle vacanze, la peggiore fu quella di  fine ottobre, ben peggiore della prima ma spalmata su più mesi per cui i numeri record risultano essere quelli della prima mentre i numeri cumulativi più alti risultano essere quelli di questa seconda ondata.

La situazione è cambiata nel dicembre quando “il genio umano”, così ha detto il relatore, ha messo a disposizione in tempo record il vaccino e grazie alle varie dosi gli italiani hanno avuto un corredo protettivo che forse nessuna nazione al mondo ha avuto e l’Italia è stata da questo punto di vista molto efficiente.

Con la comparsa poi delle varianti omicron, molto meno virulente di tutte quelle precedenti, il Covid è diventato una malattia solamente ad appannaggio di persone con debilitazioni importanti, di solito di età avanzata, nelle quali gioca un ruolo simile all’influenza, a causa della quale comunque ogni anno vi sono decessi tra le persone più deboli e certamente sarà necessaria una vaccinazione annuale sul tipo di quella che viene effettuata proprio per l’influenza.

Al di là della questione puramente medica, che vede la nostra medicina capace di operazioni incredibili, la conclusione del professor Di Perri è stata molto amara e pessimistica sul futuro della nostra sanità : è diventata, ha detto, un salarificio per uffici, quello per il controllo della qualità, quello sulla trasparenza, mentre i concorsi per medici ed infermieri vanno deserti ma non perché non ve ne siano ma perché, come il Giuseppe Luigi Lagrangia di cui ci ha parlato prima il professore Rasetti, preferiscono gli stipendi che possono ottenere in Inghilterra o in America.

E’ assolutamente necessaria, ha concluso il professor Di Perri,  una revisione profonda del sistema ma l’impressione è che non se ne parli affatto.

Ha preso quindi la parola il professor Giovanni Succo, Direttore del Dipartimento di Otorinolaringoiatria dell’Ospedale San Giovanni Bosco e Presidente della European Head and Neck Society 2023 con la sua relazione dal titolo “Il valore aggiunto dell’Intelligenza Artificiale, delle nuove scoperte e delle nuove tecnologie applicabili alla Medicina e alla Chirurgia”.

Il professor Succo ha iniziato il suo intervento ringraziando il Rotary Club di Moncalieri cui è particolarmente legato grazie alla lunga amicizia con uno dei soci fondatori appena scomparso, Giuseppe Bellino che ha voluto ricordare.

Le sue, ci ha detto, sono state riflessioni sulle  ricadute, positive o negative, che la pandemia da Covid ha avuto sulle cure oncologiche, visto che la chirurgia oncologica assorbe circa l’ottanta per cento della sua attività, come d’altra parte è anche per il nostro amico Andrea Cavalot.

Il saldo è sicuramente e pesantemente passivo per quanto concerne i ricoveri; soprattutto nelle prime due ondate di pandemia hanno subito una nettissima diminuzione ma, ancor più grave, sono nettamente diminuiti i referti, il che sta a significare che molte patologie non sono state scoperte e non sono state trattate e quindi i pazienti non sono stati curati o lo sono stati in ritardo ed ancor oggi non si è riusciti a tornare ai livelli pre Covid.

Prof. Giovanni Succo

Si deve positivamente notare che il Covid non ha avuto alcun impatto sulle cure oncologiche che hanno potuto proseguire anche per questo tipo di pazienti.

Un altro saldo negativo è quello relativo agli screening, esami che permettono, soprattutto nella sfera ginecologica e nel tumore del colon retto, di diagnosticare non la malattia conclamata ma le fasi pretumorali.

Un recentissimo studio ha messo in evidenza come il Covid abbia fatto ridurre del 50% gli screening, gli effetti di questa riduzione oggi ancora non si notano ma si vedranno nel corso degli anni quando si si evidenzieranno malattie ormai conclamate e  non precocemente diagnosticate.

Tra i dati positivi importantissimo è quello riguardante i vaccini di nuova generazione che l’impressionante Task Force scientifica messa in campo per il Covid sta elaborando anche per il cancro. Il professor Succo ha paragonato il cancro a Diabolik, la figura criminale nata dalla penna di Angela e Luciana Giussani, capace di mutare rapidamente aspetto per cui quando arriva la cura la malattia non è più la stessa ed è in grado di rendere comunque confuso il bersaglio.

L’enorme collaborazione scientifica che si è venuta a creare per combattere il Covid ha fatto si che gli studi effettuati agli inizi dello scorso decennio tra breve troveranno la loro industrializzazione e, sequenziando il DNA del cancro della singola persona, permetteranno di produrre vaccini in grado di colpire con esattezza la cellula bersaglio.

Altro punto trattato dal professore è stata la telemedicina sulla quale però non si è sentito di dare un giudizio pienamente positivo: uno studio pubblicato dal TIMES ha stabilito che in tale ambito si sia fatto un saldo in avanti di dieci anni in dieci giorni; lo stesso professore, durante la sua forzata quarantena in casa, ha fatto da collega esperto a colleghi che stavano operando; sono nati strumenti che vanno nella direzione di portare il medico dal malato, il dubbio riguarda l’incertezza che queto nuovo modo di fare medicina possa effettivamente portare dei benefici al rapporto tra paziente e medico. Non dobbiamo però avere paura di queste novità, probabilmente nei tempi passati anche qualche Accademico sarà stato considerato un visionario, ma dobbiamo comunque stare molto attenti in quanto il medico più famoso e più gettonato al mondo oggi è il dottor Google.

Oggi preferiamo ancora, ha detto, il dottor House che si spacca la testa per capire di quale patologia soffra il suo paziente o più una forma di remotazione tecnologica come quella del dottor Google?

La risposta l’ha trovata nei film di fantascienza : andiamo verso una medicina da dottor McCoy, nella lunga serie di Star Trek, con un apparecchietto in mano che gli permetteva di visitare i suoi pazienti : una forma cinematografica di telemedicina.

Sino ad un paio di anni fa, nessun “otorinus vulgaris” come si è definito il relatore, avrebbe mai pensato di poter eseguire interventi con circolazione extracorporea, oggi alle Molinette viene tranquillamente eseguito e di questo si deve dire grazie all’enorme esperienza che medici  rianimatori hanno acquisito nella gestione di pazienti affetti da pneumopatie da covid con la circolazione extracorporea.

La domanda conclusiva del professore è stata questa : “IA e medicina, siamo psicologicamente pronti alla sfida? Stiamo cercando di sostituire il genere umano con le macchine?

I medici dovranno abituarsi al fatto che nel futuro non cureranno un paziente ma una serie di pazienti gemelli : un gemello digitale  su cui sperimentare l’efficacia delle cure senza esperimenti sull’essere umano vivente, un gemello biologico, attualmente topini senza immunità, su cui vengono trapiantate cellule tumorali umane per testare l’efficacia delle cure.

Siamo alla vigilia di un periodo in cui la scelta sulle cure per i malati sarà dettata dall’esperienza effettuata non su altri malati ma sui suoi gemelli e proprio sulla base dei dati prodotti dall’intelligenza artificiale.

L’applicazione dell’intelligenza artificiale alla medicina, ha concluso il relatore, sarà un grande passo avanti, come l’essere umano che l’ha creata potrà errare ma sarà in grado di fornire molti spunti utilissimi.

Dobbiamo imparare sì a dominare le macchine ma non dobbiamo avere paura del futuro perché il futuro è già qui, oggi: ci portiamo al polso misuratore di pressione e saturimetro, abbiamo automobili in grado di correggere gli errori dell’autista o di viaggiare autonomamente, strumenti di IA che permettono l’atterraggio di jet supersonici sul ponte di una portaerei di notte con il mare in burrasca, quindi l’augurio del professor di Perri è stato “benvenuti nel futuro e non ne abbiamo paura”.

Il Presidente Radis, che da par suo ha fatto da collante tra i vari interventi, ha evidenziati i richiami alla medicina di prossimità, ai diversi rapporti che si istaureranno tra medico e paziente e quindi chi meglio di Angelo Pescarmona, Direttore dell’ASL5 Torino, socio del Club e presente in sala,   avrebbe potuto chiarire i rapporti tra medicina e territorio?

Dott. Angelo Pescarmona

Angelo ha risposto all’appello e ha messo in evidenza quella che oggi è la paura degli operatori sanitari : il Covid ha fatto metter in campo risorse economiche, finanziarie, scientifiche e di collaborazione mai viste prima ed oggi il timore è che, finita la pandemia, finiscano anche queste eccezionali risorse.

Pur essendo di natura ottimistica, Angelo dubita potranno esserci alte risorse pubbliche disponibili, infatti anche se Germania e Francia spendono molto più di noi per ogni singolo cittadino, l’Italia è gravata da un tale debito pubblico, pari quasi al totale di  quanto si spende per la sanità pubblica, che non le permette l’aumento delle risorse destinate alla sanità.

Non potendo avere maggiori risorse, gli altissimi livelli di cura ed efficacia che ha il nostro Servizio Sanitario Nazionale devono essere mantenuti con qualcosa di diverso : la telemedicina che sicuramente potrà far calare il costo unitario per ogni singolo paziente ma soprattutto la sanità di territorio.

Sul territorio piemontese a questo fine verranno costruiti 40 ospedali di comunità e 92 case di comunità, strutture di prossimità, vicine al cittadino che permetteranno al paziente di avere risposte non solo in ospedale ma anche vicino a casa, strutture in cui vi saranno medici, infermieri, servizi sociali proprio per evitare l’isolamento sociale del paziente e prevenire il ricorso all’ospedale.

Questa strategia permetterà da una parte di migliorare i servizi e quindi la salute del cittadino e dall’altra di diminuire i costi dei servizi resi.

Gli ospedali di comunità invece permetteranno di un intasare gli ospedali per acuzie con quei pazienti soggetti a ricoveri frequenti per patologie  croniche.

La finalità è quella di mettere ospedali e case di comunità vicino al paziente per determinati casi e concentrare l’alta specialità in modo da mantenere altissimi standard e ridurre il fabbisogno economico.  

Si deve inoltre tener conto, ha proseguito Angelo, che strutture di questo genere permetterebbero, in caso di altre pandemie, di evitare l’intasamento degli ospedali come invece è successo nel caso del Covid, quando giorno dopo giorno, interi reparti venivano trasformati in  reparti covid.

Il Covid ha insegnato quindi che le risposte devono essere date sul territorio per evitare l’intasamento degli ospedali, ospedali poi che devono essere assolutamente compartimentabili per poter isolare facilmente reparto da reparto; e questo potrà avvenire con la costruzione di ospedali a sviluppo orizzontale, come sarà il nuovo ospedale di Moncalieri, anziché a sviluppo verticale come sono oggi; basti pensare alla difficoltà di compartimentare gli ascensori di un ospedale.

Le risorse non cresceranno, ha concluso Angelo Pescarmona, ma se sapremo farne buon uso si potranno sicuramente mantenere e migliorare i già altissimi standard della nostra sanità.

Sono poi seguite le domande di alcuni dei presenti in sala tra cui quelle del dottor Daniele Conti, che già è stato nostro ospite al Club. presidente della SynDiag, società che applica l’intelligenza artificiale alla lotta contro il cancro.

Cosa può aggiungere il vostro  scrivano se non che sia stato un evento perfettamente riuscito, in un luogo, per chi come lui adora i libri (cartacei), magico, che riporta indietro nel tempo, e ringraziare i soci che si sono presi carico dell’organizzazione, Gianni Radis, Carlo Ferruccio Tondato, Gianni Caporello, Davide Cavalieri, senza dimenticare la valentissima “segretaria di produzione”, Barbara Radis, i piacevolissimi relatori e tutti gli intervenuti, sottolineando come la presenza in sala dei rappresentanti di vari settori del mondo pubblico e privato, di giovani ricercatori e studenti sia la testimonianza  che anche i famigerati “giovani” possono essere presenti interessati quando persone di valore assoluto trattano temi di grande interesse e spessore in luoghi di così grande fascino.